Il giornalino - dicembre 2020
Presentazione di Pier Giorgio Paolini
Questo numero del Giornalino nasce in aprile, quando inviai a molta gente della parrocchia una riflessione sul tempo che stavamo vivendo – e continuiamo a vivere – dal titolo «Un tempo particolare»; molti risposero con loro riflessioni: da queste è tratto il materiale che costituisce buona parte del Giornalino. Le riflessioni erano diverse tra di loro: alcuni medici risposero raccontando la loro drammatica esperienza, altri parlando della loro vita nel periodo di chiusura ed esponendo loro riflessioni. Vi è anche il racconto di chi ha sperimentato in prima persona la forza aggressiva del virus. Questa tuttavia è la prima parte, riguardante il passato: vi è anche un presente, che continua a essere drammatico. Qui ho chiesto alcuni contributi, tre per l’esattezza, che permettessero una lettura attuale del fenomeno che stiamo vivendo. Inquadrato così il numero del Giornalino passo alla sua presentazione specifica.
Parto dal titolo: «Un nemico ha fatto questo!». È tratto dalla parabola del seme di grano e della zizzania in Mt 13,24-30 che inizia così: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo» (Mt 13,24). A questa azione iniziale segue l’altra, che avviene di notte: «Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò» (Mt 13,25). Quando il grano comincia a crescere, appare anche la zizzania e i servi lo vanno a riferire al padrone: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?« (Mt 13,27). La risposta è lapidaria: «Un nemico ha fatto questo!» (Mt 13,28). Alla proposta dei servi di andare a sradicare la zizzania il padrone risponde: «No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano» (Mt 13,29). Ciò significa che grano e zizzania debbono crescere insieme sino alla mietitura: solo allora sarà possibile procedere alla distinzione. La parabola vuol mostrare che il grano deve convivere con la zizzania per lungo tempo, così come in altre parabole i buoni e i cattivi sono presenti insieme nella prospettiva del regno dei cieli (cfr. Mt 13,47- 48; 22,10); ed ancora il Padre non fa distinzione tra buoni e cattivi ma «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Perché utilizzarla per trarre da essa il titolo? Perché permette di leggere la nostra situazione: il virus (il nemico) si è introdotto, alterando totalmente il nostro vivere (il campo di grano). Non che tutto fosse positivo nel nostro vivere, anzi, ma egli entrando ha portato sofferenza e morte, ha accentuato le ingiustizie. Tuttavia è necessario convivere con lui, come il grano con la zizzania, in attesa del compimento, quando i suoi frutti saranno sradicati.
Apre il numero l’editoriale di d. Fabio, che si sofferma sul titolo per trarne alcune riflessioni (Un nemico ha fatto questo).
Segue il ricordo di Nello Di Spigno, scritto dalla sorella Giulia (Nello, una vita donata). Nello, come tutta la famiglia Di Spigno, abitava nella nostra parrocchia e si era trasferito per ragioni di lavoro in Lombardia. Giulia racconta il dramma che ha vissuto con la sua famiglia, cercando di descrivere il servizio svolto dal fratello, che si è prodigato sino al limite estremo.
Segue la densa testimonianza di Anna Digiorgio, medico all’UTIC dell’ospedale di Livorno (L’amore di Dio che si esprime): descrive la sua esperienza di medico, le sue incertezze dinanzi a qualcosa di nuovo e di sconosciuto, la fatica del prendere coscienza dell’unicità della propria professione di medico.
Ancora due medici portano la loro testimonianza: Giovanni Mori Ubaldini (Come medico, uomo e cristiano) e Massimo Scardigli con la moglie Anna, che non è medico ma presta il suo servizio alla Caritas (Agire in tandem). Entrambi hanno vissuto questo tempo come medici di base, chiamati perciò a confrontarsi con le ansie e i problemi dei loro pazienti.
Chiude questa parte il racconto di Alessandro Ponticelli e Margherita Mazzon, che hanno vissuto in prima persona l’aggressione del virus ammalandosi in modo serio: un racconto drammatico per la scoperta progressiva della vera identità della malattia e vivendone tutti gli aspetti (Abbiamo il virus!).
Seguono gli altri contributi, assai diversi gli uni dagli altri, dove si mescolano due aspetti diversi: alcuni descrivono semplicemente la nuova esperienza della chiusura che ha costretto a vivere la vita di famiglia in modo non sperimentato precedentemente, altri propongono qualche riflessione su aspetti del fenomeno oppure sulla lettura spirituale da esso derivata. Precedono gli articoli dove prevale la descrizione del proprio viver quotidiano nel tempo della chiusura, seguono quelli dedicati alle riflessioni che il fenomeno induce. Non mi è possibile presentarli tutti perché sono molti: rimando perciò alla loro lettura, sempre interessante e ricca. Nel loro insieme mostrano quanto lo stesso evento abbia provocato reazioni e riflessioni diverse. Anche questo è ricchezza.
L’ultima parte riporta invece tre impegnativi contributi, chiesti appositamente per questo numero. Il loro scopo è quello di aggiornare la situazione e tentare uno sguardo di insieme alla luce della nuova esplosione della pandemia.
Il primo contributo è di d. Ordesio Bellini, venuto di recente ad abitare nella nostra parrocchia (Un grande spavento). Dopo aver descritto quelli che, a suo avviso, sono gli elementi contraddittori della nostra società, nel quadro tracciato inserisce l’evento della pandemia come «uno sconquasso» che «doveva far implodere questa realtà». Da questo evento dirompente egli trae quattro riflessioni dal punto di vista cristiano che costituiscono altrettanti inviti.
Segue il contributo di Andrea Salvini (Alcuni aspetti sociologicamente rilevanti della situazione di emergenza) che parte da una constatazione: «i meccanismi di diffusione del virus presentano le stesse caratteristiche dei meccanismi essenziali con cui costruiamo la nostra socialità, cioè mediante le strutture di relazioni in cui siamo inseriti». Questo ha costretto a modificare le relazioni sociali, limitandone temporaneamente la libertà: quando tutto sarà finito, questo «non condurrà ad un ritorno agli assetti pre-pandemici, ma a una “nuova normalità”». Il grosso del contributo tenta, senza alcuna esaustività e completezza, di indicare tre aspetti di questa «nuova normalità».
Il contributo conclusivo è di Francesco Dal Canto (Riflessioni sparse di un giurista sul covid-19). La pandemia ha comportato una notevole limitazione delle libertà costituzionali, mai sperimentata antecedentemente: «si è verificato è una sorta di scambio: una riduzione del rischio per la vita e per la salute in cambio di un sacrificio della libertà di circolazione e di culto, o del diritto a svolgere un’attività lavorativa, sociale, culturale o imprenditoriale». Il diritto fa «fatica a regolare le situazioni impreviste ed eccezionali come quella in cui ci siamo trovati»; tuttavia è in grado di fornire indicazioni che permettano di muoversi. L’autore si sofferma su due aspetti, legati alla nostra Costituzione: il primo risponde alla domanda «Com’è attrezzata la nostra Costituzione per fare fronte all’emergenza?»; il secondo invece si chiede «se le scelte fatte sono state raggiunte tenendo conto dei valori e degli interessi cui la Costituzione è effettivamente ispirata».
Spero che la lettura sia motivo di riflessione per il lettore.