Lettura biblica 2022-2023
La prima lettera ai Corinzi
La prima lettera ai Corinzi è un testo di fondamentale importanza. A prima vista sembrerebbe nascere solo dall'esigenza di porre un limite alle situazioni di abuso presenti nella comunità di Corinto, quindi una lettera disciplinare e pastorale, non confrontabile con la densità teologica della lettera ai Romani. In realtà essa è ben altra cosa: suo scopo è certamente quello di intervenire con forza in una situazione di effettivo disordine ma lo fa ponendo chiarissimi capisaldi di fede, che ne costituiscono l'ossatura e la trama. Di conseguenza è di fondamentale importanza anzitutto perché presenta una splendida riflessione sulla Chiesa e su coloro che ne sono parte. Poi perché, alla luce di tale riflessione, individua effettive fratture che, pur essendo primariamente legate alla situazione di Corinto, sono in realtà caratteristiche del tessuto ecclesiale sino ad oggi.
Quante e quali tensioni vi sono oggi nella Chiesa! Si va da destra a sinistra e da sinistra a destra; ognuno crede di avere la giusta visione delle cose e di essere perciò in possesso della giusta soluzione, l'uno «si gonfia» (cfr. I Cor 4,6) contro l'altro, il fratello scomunica il fratello. E questo non solo a livello di Chiesa universale ma anche, e a volte soprattutto, a livello di Chiesa nazionale e di Chiesa locale. Ed ecco allora la lettura di ICorinzi, un testo da stringere e da strlzzare ponendogli la domanda: cosa dobbiamo fare? Solo I'umile confronto con la parrola apostolica, che «è veramente Parola di Dio» (cfr.ITess 2,13), può portare alla conversione e costringerci a cercare ciò che veramente «edifica» la Chiesa, pur nella necessaria diversità dell'uno rispetto all'altro.
1. Il punto di rifermento
Credo che il punto di riferimento e di sfondo di tutta la lettura debba essere considerato il versetto 1,9: «Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!» (I Cor 1,9).
1.1 Siete stati chiamati
All'inizio di tutto vi è la cbiamata: si è chiamati da Dio che chiama chi vuole e come vuole. Fu questa l'esperienza iniziale di Paolo: «mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia» (Gal 1,15); di essa ha sempre dato testimonianza come fa anche all'inizio di questa lettera: «Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio" (ICor 1,1). Non è diverso per i cristiani di Corinto: la loro chiamata è da Dio. Paolo lo ricorda subito all'inizio, specificando a chi è diretta la chiamata: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili» (ICor 1,26). Una chiamata diretta ai più deboli perché appaia chiaramente che Dio ne è autore e nessuno possa vantarsi attribuendosi il merito: «Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; [...] perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (ICor 1,27.29).
Il fatto che la chiamata sia da Dio implica il riconoscimento che tutto è suo dono: «Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto?» (ICor 4,7). Ne consegue l'umile riconoscimento che il dono deve essere messo a frutto non per se stessi ma per gli altri perché solo così si edifica la Chiesa.
1.2 La comunione con il Figlio suo
Ma a cosa Dio chiama? «Alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro». Il senso di queste parole è chiaro se letto alla luce della lettera. La comunione nasce dalla conoscenza. l corinzi hanno conosciuto Gesù Cristo mediante la parola del Vangelo di Paolo «La testimonirnza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» (ICor 1,6-7). La «testimonianza di Cristo» è appunto la parola del Vangelo che lo testimonia, lo fa conoscere. Accogliendo quella parola, essi sono stati generati al rapporto con Cristo Gesù: «sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo»,(ICor 4,15).
L'adesione a Cristo mediante la parola del Vangelo è solo iniziale perché essa diviene esperienza mediante il battesimo. Per quanto in questa lettera non se ne parli in modo esteso, come avviene ad esempio in Rom 6,1-11, il legame battesimale con Cristo traspare in continuazione. Lo richiama all'inizio: «Grazie a lui (Dio) voi siete in Cristo Gesù» (ICor 1,30); lo ricorda ancora più avanti: «voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (ICor 3,23); concludendo il rimprovero per l'incapacità a risolvere i litigi che sono presenti nella comunità, ricorda il dono ricevuto: «siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (ICor 6,11). Invita subito dopo quanti sono convinti che il rapporto con le prostitute non costituisca problema a considerare l'aspetto fondamentale del battesimo come relazione con il Signore risorto: «Il corpo non è per la fornicazione [CEI: l'impurità], ma per il Signore, e il Signore è per il corpo» (ICor 6,13). Infine l'unità battesimale con Cristo lega i battezzati gli uni agli altri a formare un solo corpo, il corpo di Cristo che è la Chiesa: «noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (ICor 12,13).
Tuttavia l'unità battesimale con Cristo va oltre e si completa con l'atto del rnangiare il corpo e bere il sangue di Cristo: «il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?» (ICor 10,16). Il corpo e il sangue di Cristo sono manifestazione del suo amore per noi come appare dalle parole di Gesù riportate da Paolo più avanti:
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». (ICor 11,23-25)
Comunicando al corpo e sangue di Cristo, si partecipa alla sua realtà più intima, quella che si è rivelata nella sua morte come dono di se stesso. È perciò comunione alla sua volontà di amore, di donazione, di misericordia.
Da questo atto deriva un'ulteriore conseguenza evidenziata da Paolo; dopo aver detto che la partecipazione al calice e il mangiare il pane è comunione con il corpo di Cristo, continua: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane» (ICor 10,17). L'atto eucaristico genera dunque la Chiesa, comunione che nasce dal battesimo (cfr. ICor 12,13), è continuamente rafforzata dall'Eucarestia e si compie nella carità (cfr. ICor 13), intesa come dimensione ecclesiale, capace cioè di tenere insieme e amalgamare il corpo di Cristo che è la Chiesa.
Il discorso della comunione con Cristo però non è ancora giunto alla sua conclusione perché in ICor 15 Paolo ne prospetta il compimento nella partecipazione piena alla resurrezione di Cristo: egli infatti è il primo dei risorti, «primizia di coloro che sono morti» (ICor 15,20); dopo di lui anche quelli che appartengono a lui: «Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo » (ICor 15,23). La sintesi totale dell'esperienza umana: «Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita» (ICor 15,22) Concludendo il discorso Paolo riprende la prospettiva: «come abbiamo portato I'immagine dell'uomo di terra [cioè Adamo] così porteremo I'immagine dell'uomo celeste [cioè Cristo], (15,49). La comunione è ora piena e definitiva.
2. Le divisioni
Dio ha dunque chiamato i corinzl alla comunione col Figlio suo, Gesù Cristo, una comunione sempre più stringente: perché questo aspetto è sottolineato così fortemente? Perché la Chiesa di Corinto è afflitta da divisioni. Dopo aver richiamato la comunione con Gesù Cristo come scopo della chiamata di Dio, Paolo continua esortando: «Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire» (ICor 1,10). Non è un'esortazione casuale perché «a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie» (ICor 1,11).
E non sono discordie superficiali ma profonde, che toccano i diversi ambiti della fede. All'inizio è la simpatia verso i diversi predicatori che sono giunti a Corinto: «"Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "Io invece di Cefa", "E io di cristo"» (ICor 1,12). Poi le divisioni dovute e liti tra i membri della comunità (ICor 6,1-11), i diversi comportamenti nei confronti delle carni sacrificate agli idoli e vendute al mercato (ICor 8,1-11,1), le divisioni all'interno delle assemblee liturgiche (ICor 11,2-34), la contrapposizione dei carismi (ICor 12-14).
Il fatto sì è che questi corinzi, assai ricchi di doni dello Spirito Santo, se ne sono appropriati come se fossero cosa propria o meritata e si ergono I'un contro l'altro forti proprio del dono che dovrebbe essere via e modo di una comunione più profonda col Signore e con i fratelli. Si sono «gonfiati di orgoglio» l'un contro l'altro (cfr. ICor 4,6.18-19; 5,2;8,1).
E non è che questo sia privo di conseguenze su altri piani, apparentemente slegati dal problema delle divisioni che si sono prodotte. Il «Tutto è lecito» (cfr. ICor 6,12; 10,23), che spesso si ode in bocca ai corinzi, è una naturale conseguenza del «gonfiarsi di orgoglio». Viene allora fraintesa la giusta libertà di cui il cristiano deve godere, è reso superficiale ogni comportamento, è come se il male non esistesse più. Testimone di questo è ICor 6 e anche lo stesso ICor 15 sulla resurrezione finale. Perché, se già ora i corinti hanno parte al regno (cfr. ICor 4,8) allora che bisogno c'è di attendere il compimento di tutte le cose nel regno di Dio (ICor 15,25-28)? Se già ora il loro corpo è pervaso dallo Spirito, che bisogno c'è di aspettare la risurrezione finale?
3. Conclusioni
Sono tutte cose su cui riflettere perché non sono lontane da noi e dalla realtà della Chiesa attuale. Le divisioni e i contrasti, che nascono dalla presunzione dell'avere il dono di Dio in esclusiva e la conseguente giusta visione delle cose, sono presenti anche oggi. C'è un antidoto a tutto questo?
Sì: «Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l'ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!» (ICor 15,1-2). È l'incessante confronto con la parola apostolica per lasciarci giudicare da essa.
È l'imitazione di Paolo e di Gesù nell'uscire umilmente da noi stessi per la ricerca del bene dell'altro: «Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (ICor 10,32-11,1).
È la carità che «non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse» (ICor 13,4-5) ma «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (ICor 13,7)