Stampa
Quando vi radunate insieme
 
14 febbraio 2019
 
Questo secondo brano offerto da Paolo ci permette di leggere ancora l’Eucarestia nella vita della Chiesa e quindi anche della nostra comunità. Mentre il brano precedente, quello di 1Cor 10,1-22, il problema di fondo era il rapporto tra Eucarestia (il pane spezzato e il calice di comunione) con il mondo pagano esterno, cioè con i sacrifici immolati agli idoli, che vuol dire per Paolo immolati ai demoni, qui invece l’atto eucaristico è vissuto in una situazione comunitaria che Paolo tenta di sciogliere mostrando la contraddizione tra l’atto di Gesù e quello della comunità.
 
1Cor 11,17-34
Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio.18Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo.19È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova.20Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore.21Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco.22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
27Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore.28Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice;29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.30È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti.31Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati;32quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo.33Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri.34E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.
 
1. Lettura
Per comprendere questo brano e la sua portata per noi è necessario anzitutto tentare di capire come si svolgeva la «cena del Signore» nella comunità di Corinto attraverso gli elementi che Paolo fornisce. Il primo elemento che sembra chiaro è la collocazione della memoria di Gesù all’interno di un pasto comunitario, quindi ben lontano dalla nostra prassi liturgica. Probabilmente si seguiva quello che Gesù aveva fatto secondo quanto è raccontato nel brano stesso: prima il pane e poi, «dopo aver cenato», prese il calice: quindi i corinzi cominciavano con lo spezzare il pane, seguiva poi la cena conviviale e quindi si terminava con il calice. Ora proprio in questo pasto avvenivano le cose che Paolo rimprovera. Vi sono divisioni che si manifestano nel diverso modo di vivere il pasto comunitario: «Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco». La comunità di Corinto era certamente una comunità stratificata, con ricchi e poveri, padroni e schiavi, unificati sì dall’unica fede ma con molte differenze che certamente si mantenevano. All’interno della cena questa differenze si manifestavano nel modo diverso di mangiare: i ricchi in modo più abbondante, secondo la loro condizione, i più poveri con un pasto più povero. Quindi invece dell’uguaglianza che lo stesso rito comportava (in 1Cor 10,17 aveva detto: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane»), si manifestavano le divisioni dovute al censo. L’indicazione di Paolo è molto chiara: «Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?». Quando ci si raduna per la cena non si debbono vedere le differenze ma deve manifestarsi l’unità del corpo di Cristo che la partecipazione all’unico pane genera.
All’interno di questo discorso Paolo pone il racconto della cena del Signore: il Signore Gesù, «nella notte in cui veniva tradito» (più correttamente andrebbe tradotto «nella notte in cui veniva consegnato»), prese il pane e, dopo la cena, il vino e li accompagno con le parole esplicative che indicavano il dono di sé: «il mio corpo…la nuova alleanza nel mio sangue». Quando i corinzi vivono questo momento, celebrano la memoria di Gesù e del suo donarsi: «voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». È l’atto della Chiesa nel tempo dell’attesa. Paolo ricorda questo perché sia di confronto con l’attuale situazione della comunità: il Signore si è donato con totalità, ed i corinzi che fanno? Invece di lasciarsi trasformare in un unico corpo mostrano le loro divisioni tra ricchi e poveri.
Dopo aver ricordato quelle che accadde nella notte della consegna di Gesù, Paolo mostra le conseguenze che ne derivano. Egli invita ad «esaminarsi» per porsi dinanzi alla cena del Signore con verità, per evitare di mangiare il pane e bere il calice «in modo indegno». In caso contrario «si è giudicati dal Signore» e «da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo». Paolo intravede il giudizio del Signore sulla comunità nelle vicende tristi della comunità: «È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti». Non è detto che siano malattie o morti fisiche, possono anche essere interpretate metaforicamente come situazioni di stanchezza di fede, incertezza o addirittura abbandono. La conclusione è chiara: «quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri»; è l’invito a non guardare solo a se stessi ma anche agli altri per essere veramente un unico corpo. Invita perciò a non fare del pasto comune un momento di divisione: «qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna».
 
2. Riflessione
Le nostre situazioni sono assai diverse da quelle di Corinto: non ci sono più pasti comunitari e l’Eucarestia si è fortemente ritualizzata nel corso di questi duemila anni. Rimane però il criterio di fondo che Paolo utilizza per richiamare i corinzi alla coscienza di essere corpo di Cristo, unificati dall’unico pane e dall’unico calice: il confronto con quanto fede Gesù nella «notte» della consegna di se stesso ai suoi imprigionatori.
2.1. Al centro del racconto della cena ci sono due cose: le parole di Gesù ed il loro significato, il comando della memoria. Già sopra si è visto che le parole esprimono il dono totale: corpo e sangue «per voi» sono espressione di un amore che si offre senza limiti. La nuova alleanza che così si stabilisce è l’ingresso in una relazione nuova con Dio, il Padre, e la partecipazione alla sua vita. La memoria non è la semplice ripetizione rituale ma l’accoglienza del dono e la testimonianza da dare di esso, vivendolo intensamente.
2.2. È qui che si pone il confronto con noi. Paolo ci invita: esaminate voi stessi. Cosa dobbiamo cercare di esaminare e quindi capire?
2.2.1. Al primo posto sta la nostra disponibilità interiore, che significa aprirsi al Signore che si dona nella sua Eucarestia e lo fa non parzialmente ma totalmente: la nostra risposta deve essere speculare, cioè di apertura e di dono a lui. Non so quanto nei corinzi fosse presente questo aspetto ma ho l’impressione che fosse limitato o nullo come mostra l’incapacità da parte dei più ricchi a considerare i più poveri della comunità e a non rimanere chiusi nella consapevolezza del loro censo: non si dà una disponibilità agli altri se prima non ci si è aperti pienamente e totalmente al Signore Gesù.
2.2.2. Consegue da questo la nostra disponibilità comunitaria, cioè l’apertura reale verso gli altri membri della comunità che, come noi, partecipano all’Eucarestia. Qui noi sperimentiamo una grossa difficoltà per diversi motivi. Le assemblee delle nostre Messe sono formate da persone che parzialmente non si conoscono e che partecipano a titolo personale, forse per assolvere il precetto della Chiesa che comanda di partecipare alla Messa domenicale. La disponibilità perciò si limita ad un segno superficiale ed esteriore qual è lo scambio della pace: un po’ poco. Credo che, non potendo fare di meglio, ci sia chiesto di essere coscienti che ci sono persone che in quel momento stanno condividendo l’eucarestia con noi, anche se non le conosciamo e quindi a pensarle come fratelli e sorelle in Cristo, pregare con loro e per loro. Questo però è solo un primo aspetto. Si tratta anche di capire quanto nelle nostre comunità, nella parte più sensibile e partecipante, vi sia coscienza delle divisioni, dei contrasti oppure anche solo dell’indifferenza reciproca, quando Paolo invece invita «aspettatevi gli uni gli altri», che richiede attenzione e disponibilità.
 
3. Preghiera
Per passare dalla riflessione alla preghiera è necessario ancora seguire Paolo quando dice: «Se ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo». L’esame di noi stessi, della nostra interiorità e dei nostri comportamenti, è in qualche modo un giudizio del Signore su di noi perché è lui ad illuminarci e a farci «vedere» il nostro intimo. Ora la preghiera è porsi in silenzio dinanzi al Signore per lasciarsi «giudicare» da lui. Questo tipo di preghiera è silenziosa, al massimo può essere accompagnata dall’invocazione «Signore Gesù»: essa richiede uno sguardo di fede profonda che si proietta verso il Signore e, nell’incontro con lui, riceve la luce per lo sguardo in noi stessi. Un inno molto bello di s. Ambrogio (Aeterne rerum conditor) esprime in una strofa questo pensiero: Iesu, labántes réspice et nos vidéndo córrige; si réspicis, lapsus cadunt fletúque culpa sólvitur (Gesù, guarda a [noi] dubbiosi e correggici guardando a noi; se tu guardi, i peccati cadono e la colpa si scioglie con il pianto).
Copyright 2011