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Dio è amore

Giovedì 11 aprile 2019

Nel brano di Efesini della volta scorsa ci è stato fatto conoscere il dono che discende da Cristo asceso in alto e che riempie la Chiesa, suo corpo, facendola crescere verso di lui. Giovanni presenta una visione ancora di insieme, centrata sull’amore di Dio come fondamento dell’unità nella reciprocità. È ancora una volta la conseguenza del dono di Dio attraverso il Figlio che trova nell’atto eucaristico il suo segno visibile.

1Gv 4,7-21

Amati [CEI: Carissimi], amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. 8 Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. 9 In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. 10 In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. 11 Amati [CEI: Carissimi], se Dio ci ha amato così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. 12Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. 13 In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. 14 E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. 15 Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. 16E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. 17 In questo l’amore ha raggiunto tra noi la sua perfezione: che abbiamo fiducia nel giorno del giudizio, perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. 18 Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore. 19 Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. 20 Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. 21 E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello. 

1. Lettura

1.1. L’amore come dono (vv. 7-10). Il brano inizia con l’esortazione all’amore reciproco, fondamento di ogni vita comunitaria: «amiamoci gli uni gli altri». Non è l’invito al semplice volersi bene – cosa già molto importante – ma ad accogliere un dono da trasferire nella relazione comunitaria. Giovanni infatti aggiunge subito: «perché l’amore è da Dio»; poi sposta l’attenzione sulla relazione con Dio, sorgente di amore: «chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio». Poi, come Giovanni fa spesso, esprime il contrario: «Chi non ama non ha conosciuto Dio». Conclude infine rivelando l’origine di tutto che è Dio stesso perché «Dio è amore». L’affermazione conclusiva di questi primi due versetti è il punto di partenza alla cui luce è necessario leggere quanto detto in precedenza: poiché Dio è amore, chiunque è generato da lui è chiamato a vivere in questo amore. Essere generato da Dio e conoscere Dio sono i verbi che esprimono la figliolanza: «A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome […] da Dio sono stati generati» (Gv 1,13). I vv. 9-10 esprimono la manifestazione dell’amore di Dio «in noi», cioè in mezzo a noi: l’invio del Figlio nel mondo. Ciò avviene attraverso una ripetizione che sottolinea la totalità del dono del Figlio come segno dell’amore e la conseguenza per noi di tale invio: il dono della vita e l’espiazione dei nostri peccati. L’azione di Dio è totale: noi possiamo solo accoglierla ma in nessun modo la determiniamo perché «non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi».

1.2. L’amore come opera (vv. 11-13). Riprendendo l’affermazione iniziale, torna all’esortazione dell’amore reciproco facendolo discendere dall’amore di Dio, mentre nel v. 7 aveva fatto il contrario e dall’amore fraterno era risalito a Dio: «se Dio ci ha amato così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri». Segue ora un’affermazione «teologica»: l’amore reciproco diviene manifestazione del Dio invisibile perché «se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi». Per Giovanni non è pensabile un amore vero che non sia riflesso di quello di Dio e quindi lo renda in qualche modo presente. Nel vangelo Gesù, consegnando ai discepoli il comandamento dell’amore, aveva dichiarato che esso era riflesso del suo proprio amore e che vivendolo manifestato l’appartenenza dei discepoli a Gesù: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). La parola conclusiva che «l’amore di lui è perfetto in noi» è particolarmente importante perché rivela che l’amore donato ha Dio ha bisogno di incontrarsi con l’uomo ed in lui trovare il suo compimento: finché l’amore di Dio non è accolto e manifestato, è come se non esistesse. Il v. 13 rivela la funzione dello Spirito Santo, lo Spirito di Dio, in questo contesto: rendere coscienti del Dio presente. Ancora una volta non è l’atto nostro dell’amore che garantisce di «rimanere» in Dio ma Dio stesso attraverso l’azione del suo Spirito. Altre due volte Giovanni fa la stessa affermazione sull’azione dello Spirito: «Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato» (1Gv 3,24); «In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito» (1Gv 4,13). Piccole diversità di formulazione che portano alla stessa conclusione: solo lo Spirito permette di comprendere la presenza di Dio e la sua azione in noi.

1.3. L’amore come professione di fede (vv. 14-16). Il v. 14, con le parole «noi stessi abbiamo veduto e attestiamo», rimanda all’annuncio apostolico che ha aperto la lettera: «la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi» (1Gv 1,2). All’annuncio corrisponde la confessione o professione di fede: «Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio»; se si accetta l’annuncio e si crede ad esso la conseguenza è la stessa già vista: «Dio rimane in lui ed egli in Dio». Prima il rimanere in Dio era conseguenza dell’amore fraterno, qui della fede in Gesù Figlio di Dio: ma è la stessa cosa perché accogliendo Gesù, il Figlio dono del Padre, si entra nell’amore di Dio per cui si è in lui e con lui, immersi in lui, si rimane in lui. Il v. 16 ha il sapore di una professione di fede solenne dove la voce apostolica dell’annuncio si fonde con quella di chi lo ha accolto per proclamare l’amore di Dio manifestato in Gesù. Conoscere e credere sono due verbi da leggere insieme come unica risposta al dono di Dio che entra nella dimensione interiore: l’«in noi» può anche essere tradotto «per noi», cioè a nostro favore ma può anche indicare la dimensione interiore dell’amore.

1.4. L’amore è antitetico al timore (vv. 17-18). L’amore ha una proiezione futura perché è ciò che dà certezza interiore in vista del giorno del giudizio: se infatti viviamo ora nell’amore donato da Dio attraverso Gesù, questo ci rende figli di Dio «simili a lui» perché riflettono il suo amore. Antecedentemente Giovanni aveva affermato: «noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2). Di conseguenza scompare il timore del castigo perché si vive nella luce dell’amore di Dio.

1.5. L’amore in azione (vv. 19-21). La prospettiva conclusiva è quella dell’esercizio dell’amore ricevuto nella relazione con i fratelli, i membri della comunità. Anche qui si inizia partendo dal dono che fonda l’azione: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo». Per Giovanni non vi può essere contraddizione: amore da Dio e di Dio debbono andare insieme con l’amore per il fratello: in caso contrario si è nella menzogna.

 

2. Riflessione

Sono molte le riflessioni che questo brano induce: provo ad elencarne alcune con una breve nota che inviti all’approfondimento personale.

2.1. Attestiamo. La parola apostolica fa conoscere l’amore di Dio annunciando Gesù «salvatore del mondo». Da qui la necessità di accogliere e custodire tale parola per arrivare a dire: «Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi».

2.2.Confessare Gesù, Figlio di Dio. L’accoglienza della parola porta a credere in Gesù e a confessarlo: è questo ciò che introduce alla piena comunione con Dio nell’amore espressa dalle parole «Dio rimane in lui ed egli in Dio».

2.3. Rimanere in Dio. Il verbo rimanere compare sei volte in questi versetti a esprimere la comunione con Dio che si genera attraverso la fede in Gesù. Non è facile dire cosa significhi rimanere in Dio: in ultima istanza è una realtà non descrivibile che nasce dalla percezione della relazione con lui. Il riferimento allo Spirito Santo nel v. 13 rivela l’azione dello Spirito nell’esperienza di Dio: è infatti lui che introduce in essa e la fa vivere.

2.4. L’amore nel presente e nel futuro. L’esperienza dell’amore di Dio nel presente è anticipo della realtà piena «nel giorno del giudizio»: «come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo». La comunione con Dio che si genera nel presente è quella che si dilata nella dimensione finale. Questo allontana la paura.

2.5. L’amore come fondamento della Chiesa. Il brano è profondamente «ecclesiologico» perché rivela il fondamento su cui si edifica la Chiesa ad ogni suo livello, da quello universale a quello locale: la fede in Gesù, Figlio di Dio, e il dono dell’amore che da questo deriva.

2.6. La tensione tra comprendere e vivere. Giovanni con grande enfasi presenta il fondamento di ogni vivere cristiano che è l’amore e ne mostra l’origine divina e la bellezza. Tutti però sappiamo quanto sia difficile accogliere e vivere questo dono. La tensione che si crea tra la prospettiva che la parola apre e la nostra dimensione esistenziale non deve spaventare perché è normale: essa deve divenire una spinta per un’accoglienza più decisa del dono affinché esso, per l’azione dello Spirito Santo, operi la nostra trasformazione continua.

 

3. Verso la preghiera

La lettura attenta e la riflessione generano lentamente la preghiera che è orientamento verso Gesù, per l’azione dello Spirito Santo. Il dono di Dio è continuo e chiede solo la nostra apertura che trova nella riflessione il suo primo momento ma successivamente può attuarsi solo attraverso la preghiera che è il consapevole lasciarsi afferrare dall’amore di Dio.

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